L’educazione sessuale che avrei voluto

Scritto da Vera Di Santo on . Postato in Opinioni

Dunque, io ho avuto un’educazione al sesso praticamente pari allo zero.

Quando avevo dieci anni, la nostra maestra trattenne noi femmine in classe durante la ricreazione, e ci informò solennemente che avremmo iniziato a perdere sangue dalle nostre vagine da un giorno all’altro. Se questo fosse successo mentre eravamo a scuola, non avremmo dovuto dirlo a nessuno ma avremmo piuttosto dovuto raggiungere l’insegnante donna più vicina a noi che ci avrebbe fornito qualcosa per asciugare la vergogna del nostro grembo.

genitali esterni femminili

Quest’ultima cosa non la disse realmente, ma mi suonò come un’ovvia implicazione, anche se avevo solo dieci anni.
Questa fu la mia prima introduzione al ciclo mestruale.

Quando avevo quattordici anni, la nostra insegnante di scienze saltò a pié pari il capitolo sul sistema riproduttivo. Ci disse che era assai improbabile uscisse come tema d’esame l’anno successivo, e che se anche fosse capitato avremmo comunque avuto una vasta gamma di domande tra le quali scegliere, per cui potevamo semplicemente saltarlo.
Fissai il diagramma del pene illustrato nel libro per un po’.
Non c’era nessun diagramma della vagina, solo le ovaie e l’utero.

Lo stesso anno, una signora della Tampax venne a parlarci del ciclo e ci distribuì dei fascicoli pesantemente brandizzati sullo sviluppo dei nostri corpi.
A quel tempo portavo la coppa C e usavo assorbenti interni da oltre due anni, per cui lo trovai un po’ tardivo.
Nessuno fece domande alla fine del suo intervento.

A diciassette anni avevamo 40 minuti di lezione ogni due settimane sulla materia “Educazione sanitaria”.
Non c’era un programma, ma il nostro insegnante era brillante e si impegnava molto. Aprì molte discussioni interessanti sull’alcolismo, sulle droghe, sul fumo, sul bullismo, lo stress e le buone abitudini di studio, sulla depressione, sull’immagine del corpo, e ancora sulle droghe, e ancora sul bullismo. Ma qualcosa mancava vistosamente rispetto alla lista di cose di cui si preoccupano solitamente le diciassettenni.

E questo fu tutto. Potrei decisamente dare la colpa di come sono andate le cose al fatto di essere cresciuta in Irlanda, un paese talmente immerso nel cattolicesimo da rendere difficile trovare una scuola dove la preghiera durante l’assemblea del mattino non fosse la norma. Ma anche una mia amica andava in un collegio femminile, eppure aveva un corso di educazione sessuale. Che, a suo dire, comprendeva attività come cercare di mettere un preservativo su una banana con una mano sola.

Ho iniziato a pensare all’educazione sessuale che avrei voluto avere e sono perfino arrivata a scrivere un programma (sì, perché sono ossessiva fino a questo punto), ma non ve lo rifilerò su Internet visto che non sono un’educatrice e che è lungo cinque pagine. Però vi mostrerò la mia lista dei desideri. Perché magari è solo la mia Hermione Granger interiore a parlare, ma avrei davvero desiderato che ci fosse un corso.

Vorrei che ci fosse stata una materia scolastica in cui si esponevano i fatti nudi e crudi. Tutti i vari pezzi, a cosa servono e dove possono andare. Vorrei ci fosse stato un corso in grado di far crollare tutti i miti e spiegare chiaramente il significato dei termini colloquiali, così non sarei stata costretta a ricorrere a furtive ricerche sull’Urban Dictionary tramite una connessione modem e il computer di famiglia.

Vorrei che mi avessero insegnato che, anche se la definizione di rapporto sessuale è un pene che entra in una vagina, ci sono un sacco di modi diversi di fare sesso e che la maggior parte delle persone sviluppa la sua personale definizione crescendo.

Vorrei che mi avessero insegnato che non c’è niente di moralmente sbagliato nel fare sesso. Vorrei che mi avessero insegnato che la verginità non è qualcosa che può essere “preso” o “perso”, e che mantieni ancora tutto il tuo valore intrinseco di essere umano dopo aver fatto sesso per la prima volta.

Vorrei avere visto da qualche parte, non importa dove, un diagramma esteso di una vagina, durante il periodo della mia adolescenza. Vorrei che qualcuno mi avesse detto cos’era il mio “clitoride”, così da non dover ricorrere a Google solo per scoprire dove si nascondesse quel fottuto coso.

Vorrei che mi avessero insegnato che la masturbazione è assolutamente e completamente normale, quasi banale, e che magari mi avessero anche dato qualche dritta.

Vorrei che i maschi non fossero stati mandati fuori dalla stanza in occasione della nostra conversazione sul ciclo mestruale, perché troppi uomini mi hanno detto, non so se avete presente,  cose tipo “E che problema sarà mai il ciclo?”. Vorrei che le donne non sentissero il bisogno di riferirsi ad un processo perfettamente naturale del nostro corpo con espressioni come “le mie cose” o “quei giorni” o che usassero qualsiasi altro casto eufemismo per proteggere la popolazione maschile dalla spaventosa conoscenza del culto della luna di sangue. Sono grata che non ci si debba più sedere in una capanna fuori dal villaggio, ma mi piacerebbe anche che menzionare apertamente i miei crampi ovulatori non fosse considerato inopportuno nella buona società.

Vorrei che ci fosse un corso incredibilmente dettagliato sull’intero sistema riproduttivo e che fosse obbligatorio per ogni singola persona sul pianeta, così forse allora non ci sarebbero così tanti uomini di mezza età del ceto medio che si producono in affermazioni bizzarre riguardo a quello che il mio utero può e non può fare.

Vorrei che qualcuno mi avesse spiegato la differenza tra genere, sesso e sessualità e perché queste distinzioni sono importanti. Non ho saputo niente di tutto questo finché non sono finita a leggere Judith Butler come parte del mio lavoro di tesi, e l’idea che il genere fosse fluido non sarebbe dovuta essere una rivelazione folgorante per il mio io ventenne.

Mi sarebbe piaciuto che qualcuno mi avesse offerto l’intero spaccato sulla contraccezione: i differenti mezzi a disposizione, come funzionano, come usarli, dove procurarmeli. Vorrei che la mia prima volta con un preservativo in mano non fosse stata anche la prima volta che aiutavo un ragazzo ad indossarlo.

Vorrei ci fosse stata consapevolezza sull’esistenza delle persone gay e delle persone bisessuali e delle persone queer e delle persone trans, e del fatto che loro hanno esperienze sessuali diverse, che sono oltretutto perfettamente normali e naturali e valide, perché così i quindicenni sarebbero probabilmente meno toccati dall’omofobia dilagante.

Vorrei che ci avessero insegnato le Malattie Sessualmente Trasmissibili, ma senza il tipico livello di isteria e vergogna che accompagna ogni discussione sul tema adolescenti e MST. Avrei voluto che qualcuno mi spiegasse che c’è un rischio associato al fare sesso, esattamente come c’è un rischio associato al praticare sport o guidare la macchina. Che questo non significa che non dovremmo mai fare tutte quelle cose, ma semplicemente che dovremmo essere prudenti e seguire le regole così da poter gestire efficacemente quei rischi.

Vorrei che qualcuno ci avesse spiegato molto seriamente che il sesso non è un gioco a somma zero tra uomini e donne, né una competizione, o una merce, qualcosa che le donne donano agli uomini in cambio di una cena e dei fiori (e che, di conseguenza, le donne che non si offrono in modo tempestivo stanno violando il contratto, quelle zoccole arrizzacazzi).

Vorrei che nella stessa lezione ci fosse stato insegnato che un uomo e una donna con la stessa storia sessuale alle spalle sono trattati in modo molto diverso dalla società, e che questo non è equo né accettabile, e che dovremmo tenerlo presente quando scegliamo il modo in cui parlare di sesso. Avrei voluto sentire anche una sola cosa, una qualunque, riguardo al concetto di consenso prima di ritrovarmi a cercare attivamente scritti femministi. Vorrei che avessimo parlato di come adottare comportamenti pressanti o manipolatori verso qualcuno per fare sesso sia coercizione. Vorrei che mi avessero detto che se una persona è troppo ubriaca o alticcia per esprimersi con frasi compiute, camminare diritta, stare sveglia, o badare a sé stessa non è in grado di dare il proprio consenso e che fare comunque sesso con lei fa di te uno stupratore. Vorrei che fosse stata posta enfasi sul fatto che il sesso dovrebbe essere sempre qualcosa che capita tra persone che sono entusiaste e a loro agio e felici di essere lì, e che nessuno dovrebbe accontentarsi di niente di meno di questo. Vorrei che tutte queste cose fossero conoscenza diffusa e buon senso invece di essere costantemente svalutate come roba da femministe radicali.

Ma più di ogni altra cosa, vorrei essere cresciuta in un ambiente in cui io e la maggior parte dei miei compagni potessimo sentirci a nostro agio a discutere di sesso e fare domande, perché allora forse nessuna di queste cose ci sarebbe apparsa spaventosa o misteriosa. Vorrei che in classe ci fossero state discussioni sul sesso ed esami sul sesso e temi sul sesso e che tutto ciò fosse stato considerato normale e interessante e importante come l’algebra o la poesia. Ora sono una ventenne sgamata che parla di sesso più apertamente di quanto la maggior parte delle persone non sia disposta ad accogliere. Ma mi ci sono voluti un sacco di tempo e un sacco di lavoro per arrivare fin qui.


di Marianne Cassidy

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Marianne Cassidy è una scrittice irlandese, autrice del blog  Massive Hassle.

Tratto da: The Sex Education I Wish I’d Had

Traduzione di Vera Di Santo

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